In Italia si costruisce troppo e male: non consumare più suolo è una priorità
di Cesare Budoni
In Italia si costruisce troppo e male, in qualsiasi luogo e in qualsiasi condizione del terreno. E poi non si manutiene quasi mai quanto si dovrebbe. Tutti lamentiamo carenze strutturali e di manutenzione negli edifici pubblici (dalle scuole agli ospedali, dai tribunali alle carceri, dagli asili nido agli uffici comunali) ma non c’è mai una svolta davvero decisa sui processi di manutenzione e consolidamento del costruito esistente. E Roma non è da meno, anzi …
Si è sempre alla ricerca dello spazio per interi nuovi quartieri, per siti industriali, per centri commerciali, per spazi sportivi, per infrastrutture più o meno importanti e più o meno necessarie: e molte volte rimangono lì, sul terreno, le famose “cattedrali nel deserto” per anni e anni e anni senza essere utilizzate e poi colpite dal progressivo, inarrestabile degrado. Costruiamo "ovunque" e il Comune di Roma Capitale non è esente da questo meccanismo, come molti dei Comuni della ex provincia di Roma. In fondo trovate una scheda con lo stralcio di alcuni dati riguardanti le costruzioni di Roma Capitale ripresi dallo studio “Urbanizzazione e qualità dei suoli: il caso di Roma” e contenuto nel Rapporto Ispra “Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici” del 2018 *. E’ uno studio di Silvia Pili (Dipartimento di Architettura e Progetto, Sapienza Università di Roma), Ilaria Tombolini (Dipartimento di Architettura e Progetto, Sapienza Università di Roma).
Riusciamo a costruire a ridosso di fiumi e torrenti in piene zone di esondazione, all’interno di aree protette, sulle coste fin sopra la spiaggia e sulle dune, in aree agricole e in modo frastagliato, anche in presenza di precisi piani regolatori, nelle aree idrogeologicamente proibite per grave rischio. E spesso si costruisce pianificando poco o nulla, senza pensare prima ai servizi, alla viabilità, alla frammentazione del territorio e del paesaggio, alla possibilità di recuperare e costruire in altre aree altrettanto estese e già territorialmente compromesse perché dismesse e non più usate.
Nel già citato Rapporto ISPRA si avvisa anche, già in premessa, che “ … Un consistente contenimento del consumo di suolo è la premessa per garantire una ripresa sostenibile dei nostri territori attraverso la promozione del capitale naturale e del paesaggio, l’edilizia di qualità, la riqualificazione e la rigenerazione urbana, oltre al riuso delle aree contaminate o dismesse. Per questo obiettivo sarà indispensabile fornire ai Comuni e alle Città Metropolitane indicazioni chiare e strumenti utili per rivedere anche le previsioni di nuove edificazioni presenti all’interno dei piani urbanistici e territoriali già approvati”. Ma non abbiamo più tempo per continuare ad andare avanti così. Il consumo di suolo zero è una fondamentale esigenza che dobbiamo assolutamente praticare e che passa per una accettazione culturale che modifichi e di fatto inverta la politica che sino ad oggi ha consentito una deregulation non più sopportabile per noi stessi, per la nostra esistenza e per l’ambiente nel quale e per il quale esistiamo.
*Stralcio dallo studio “Urbanizzazione e qualità dei suoli: il caso di Roma” e contenuto nel Rapporto Ispra “Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici” del 2018. E’ uno studio di Silvia Pili (Dipartimento di Architettura e Progetto, Sapienza Università di Roma), Ilaria Tombolini (Dipartimento di Architettura e Progetto, Sapienza Università di Roma).
“Dall’indagine quali-quantitativa realizzata in ambito GIS, risulta quanto segue: dei 14 km2 di nuovo tessuto urbano costituito da edifici industriali, commerciali, militari, unità pubbliche e private, il 65% è stato realizzato in aree caratterizzate da una qualità del suolo medio-alta, il 17% su suoli di qualità alta e la rimanente superficie sulle categorie di qualità inferiore; l’espansione del tessuto urbano discontinuo realizzata su aree precedentemente agricole è avvenuto per più della metà su suoli con una qualità medioalta; infine, le aree urbane in costruzione sono state realizzate per il 67% su suoli di qualità medio-alta e per il 17% su suoli di alta qualità. I suoli con qualità da medio-alta a elevata, ossia quelli maggiormente fertili, coprono nell’area di studio una superficie di circa 1400 km2. Al principio del periodo indagato, le aree urbane occupavano in queste zone più di 900 km2 di superficie. In questi stessi ambiti, tra il 2006 e il 2012 gli usi agricoli sono stati sostituiti da usi urbani per un totale di circa 8 km2. Seppure le ex aree agricole convertite ad usi urbani si trovano omogeneamente distribuite nell’intera area, è possibile osservare una concentrazione dei cambi (i) tra il versante sud e sud-ovest dell’apparato vulcanico Laziale e la fascia costiera, e (ii) in corrispondenza dei principali assi stradali, tra le direttrici stradali Appia e Pontina in particolare. Il 10% dell’intera quantità di suolo agricolo urbanizzato nel periodo studiato, è stato perso in questa zona con elevato potenziale produttivo. La suddetta risulta essere l’unica tra quelle ad alta qualità del suolo in cui aree di cambio presentano superfici maggiori di 100 ha. Ridotta o nulla è la presenza di cambi in corrispondenza dei parchi (Monti Simbruini, Monti Lucretili, Castel Porziano e Parco dei Castelli Romani) come anche nei territori ad est di Roma, compresi tra il fiume Aniene ed il confine amministrativo con la provincia di Frosinone”.